IL PANE FRESCO CON GRANI SARDI E LIEVITO MADRE (articolo di Giovanni Antonio Farris (*) su la Nuova Sardegna del 20 dicembre 2018)

Con la legge n. 4 del 2016 la Regione Sardegna ha inteso proteggere e valorizzare il pane fresco rispetto al pane surgelato venduto nei supermercati. Per questo, oltre al marchio (due spighe intrecciate) ha promosso diverse iniziative: laboratori, mostre, spot, un testimonial – l’ex calciatore Andrea Cossu.

Sono convinto che questa legge possa rappresentare un fatto importante per la tutela dei nostri pani; ma non basta. I pani della tradizione fanno riferimento soprattutto, oltre alla freschezza, ai grani coltivati e all’uso del lievito madre. In particolare, l’impiego del lievito madre è il fattore che maggiormente ha caratterizzato l’arte della panificazione tradizionale.

Purtroppo, con l’impiego del lievito di birra, il pane ha perso totalmente il suo legame con il territorio e gran parte dei benefici nutrizionali e salutistici derivanti dal suo consumo. Da 20-30 anni a questa parte, grazie all’impegno e alla collaborazione tra enti di ricerca e aziende private, il lievito madre è stato studiato e rivalutato non solo come componente di una tradizione millenaria, ma anche e soprattutto come elemento indispensabile per la produzione dei pani tipici.

La Sardegna è la regione del mondo a più alta concentrazione di pani tipici. Le caratteristiche salienti di questi pani derivano, soprattutto, dall’utilizzo di varietà di grano coltivate in Sardegna e dall’impiego del lievito madre. È soprattutto quest’ultimo aspetto che nel corso dei secoli ha maggiormente caratterizzato i pani tipici. Grazie alla sua complessa composizione microbica, il lievito madre è in grado di conferire al pane alcune proprietà che non sono riscontrabili in altri prodotti ottenuti con agenti lievitanti diversi (es. lievito di birra).

Infatti, con l’impiego del lievito madre, il pane diventa un’altra cosa rispetto alla semola utilizzata. I motivi sono di tipo:                 1) sensoriale: il pane è decisamente “più buono”; 2) nutrizionale: i processi biochimici, estremamente complessi, liberano alcuni composti (aminoacidi, sali minerali e tanti altri) prontamente utilizzabili dall’organismo umano; inoltre, l’abbassamento del pH (acidità del pane) stimola positivamente la digestione; 3) salutistico: data la lunga fermentazione dell’impasto (6-8 ore e più) il pane ottenuto presenta una riduzione significativa della glicemia (circa 25% in meno) e della insulinemia (meno 20%) post-prandiale e questo anche nelle persone con “ridotta tolleranza ai carboidrati” (condizione che può essere definita di “prediabete”).

Inoltre, l’attività proteolitica (in questo caso degradazione della gliadina, una delle due proteine del glutine) dei batteri lattici può avere un ruolo determinante nel ridurre l’intolleranza umana al glutine, intolleranza che caratterizza la malattia celiaca e molte altre. L’acidificazione dell’impasto interviene anche sulla prevenzione di alcuni difetti del pane: ritarda l’ammuffimento, contribuisce ad allungare i tempi di conservabilità chimico-fisica, ritarda la comparsa del raffermamento.

In una società come la nostra, che destina circa 1/3 del pane giornaliero alla pattumiera, poter disporre dello stesso pane per più giorni diventa un elemento essenziale nella lotta allo “spreco alimentare”.Tutti questi motivi, accompagnati anche da una efficiente politica agricola (in particolare cerealicola) regionale e nazionale e da un’azione sinergica tra tutti i soggetti interessati (agricoltori, mugnai, panificatori, pastificatori, associazioni di categoria, agenzie regionali, Università, ecc.) ci fanno ben sperare in una effettiva ripresa del pane ottenuto con il lievito madre e, di conseguenza, del comparto cerealicolo.

Ma tutte queste azioni potrebbero risultare vane se non si riprendono in mano i Marchi di qualità (ampliando la legge n. 4) con i relativi Disciplinari di produzione (per i quali si era lavorato e prodotto del materiale già nei primi anni del 2000) per i principali pani tipici della Sardegna e nei quali i punti di forza, oltre alla freschezza e al legame con il territorio, potrebbero essere rappresentati dal grano prodotto in Sardegna, dall’impiego del lievito madre e da razionali tecniche di lavorazione.

 

(*) Università di Sassari