A seguito dell’emanazione del DPCM 11 Marzo u. s. riguardante ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica del COVID-19, è necessario soffermarsi sull’applicazione dello stesso relativamente ad attività rientranti nel campo dell’artigianato alimentare.
Le domande più frequenti da parte degli artigiani riguardano l’assoggettamento o meno all’obbligo della chiusura per attività artigianali quali pizzerie a taglio, rosticcerie, gastronomie, gelaterie e pasticcerie.
Secondo l’art. 1 comma 2 del DPCM rientrano nei servizi di ristorazione e quindi sono sospese fino al 25 Marzo p. v. anche le attività di gelateria e pasticceria, pur consentendo la sola fornitura a domicilio nel rispetto delle normative igienico-sanitarie previste per il confezionamento ed il trasporto.
La motivazione dell’inquadramento di queste sopra citate attività tra quelle di ristorazione è determinata dal fatto che in base alla nuova classificazione ATECO le stesse pur essendo attività artigiane di produzione sono assimilate, in caso di vendita diretta al consumatore indipendentemente dal possesso o meno di autorizzazione amministrativa alla somministrazione, agli esercenti attività di bar, mentre rientrerebbero sotto il codice della “produzione” e quindi sarebbe consentita a loro l’apertura soltanto quelle che forniscono i prodotti a terzi, quali ad es. esercizi commerciali, mense etc.
E’ chiaro che questa impostazione della norma è palesemente una “ forzatura” che contrasta con la ratio del provvedimento che mira ad impedire eventuali assembramenti nei locali dove si svolge l’attività ma solo nel caso in cui vi fosse un consumo sul posto o una somministrazione di prodotto e non laddove vi è il semplice asporto come nella maggioranza delle gelaterie e pasticcerie. Ma in considerazione che gli organi di controllo solitamente interpretano “alla lettera” ed in modo restrittivo le norme, sarebbe preferibile in via cautelativa che le gelaterie e pasticcerie con vendita diretta al consumatore rispettassero l’obbligo della chiusura.
Per quanto riguarda invece le attività di pizzerie , rosticcerie e gastronomie nel caso in cui le stesse siano svolte nella modalità di semplice asporto dei prodotti e non siano quindi autorizzate , come accade in varie Regioni, a poter fornire i prodotti per il consumo sul posto ( c. d. somministrazione non assistita), seguendo la ratio della norma come sopra illustrato , sarebbero escluse dall’obbligo della chiusura. Resta fermo comunque l’obbligo di garantire l’accesso al locale con il rispetto delle distanze di un metro tra gli avventori.
Nel caso in cui l’impresa artigiana svolge anche l’attività di somministrazione di alimenti e bevande con carattere strumentale ed accessorio all’attività artigiana in modo promiscuo nello stesso locale è chiaro che deve rispettare l’obbligo della chiusura o, se vuole continuare l’attività di produzione e vendita per asporto dovrebbe rimuovere le attrezzature per la somministrazione. Nel caso in cui vi sia una separazione funzionale dei locali in cui vengono espletate le due tipologie di attività (Produzione+ vendita e somministrazione) potrebbe continuare l’attività di produzione e vendita per asporto, impedendo l’accesso al locale di somministrazione. Anche in questo caso però considerata l’interpretazione normalmente restrittiva degli organi di controllo potrebbe essere utile un confronto preventivo con l’autorità locale di controllo.
Le attività di produzione e vendita di pasta fresca e di panificazione anche se non citate nell’allegato 1 – Commercio al dettaglio – di fatto possono essere equiparate alle stesse e quindi esentate dall’obbligo della chiusura , fermo restando l’obbligo di garantire l’accesso al locale con il rispetto delle distanze di un metro tra gli avventori. Anche per queste tipologie di attività nel caso in cui si avvalessero della possibilità di poter fornire i prodotti per il consumo sul posto valgono le considerazioni sopra esposte.
Alcuni operatori ci segnalano la ricaduta del decreto sulle pasticcerie, soprattutto su quelle che riforniscono strutture commerciali, che si ritrovano a non poter smaltire nei 14 gg. di chiusura dell’attività materie prime occorrenti alla produzione con date di scadenza ravvicinate -confidando, naturalmente, che il periodo di chiusura sia limitato a tali giorni- , sarebbe importante che ci comunicaste l’esistenza di tale fenomeno nelle aziende del territorio e l’entità dei danni, calcolati presuntivamente, subiti dalle aziende.
Ci riserviamo comunque eventuali ulteriori comunicazioni rispetto ad altri chiarimenti richiesti ed aggiornamenti forniti dagli organi competenti.